Koulibaly a DAZN per la serie Linea Diletta, condotta dalla giornalista Diletta Leotta
Oggi per il nuovo programma di DAZN “Linea Diletta”, condotta dalla bravissima e bellissima giornalista Diletta Leotta, la popolare rete sportiva in streaming ospiterà il difensore del Napoli Kalidou Koulibaly, che si aprirà con la giornalista sportiva affrontando una serie di tematiche legate al calcio e anche razzismo in questo sport. Ci saranno aneddoti e tanti spunti di riflessioni. Vediamo qui alcune anticipazioni.
Sul razzismo:
All’inizio è molto difficile metabolizzare gli episodi di razzismo: pensi di sbagliare tu a urlare che qualcuno ti ha ferito. Ma il bello è che la città ti fa capire che non sei tu quello sbagliato. Penso che possiamo ancora fare tanto per combattere questo problema, ma penso che rispetto agli anni passati abbiamo fatto dei passi avanti.
A Giorgio Chiellini voglio molto bene. Sul campo non posso essere suo amico, ma fuori è una persona straordinaria. Mi ha sempre difeso su tutti i fronti, mi ha pure dato dei consigli da calciatore e da uomo. Mi ha detto che era molto dispiaciuto e si è scusato a nome di tutta l’Italia, è una lotta che dobbiamo fare tutti insieme. Lui mi è sempre stato vicino e mi ha aiutato ad andare avanti, è un buon segno per il futuro.
Anche l’arbitro Irrati è una persona che stimo molto. Quello che ha fatto durante la partita Lazio-Napoli del 2016 è stato un gesto molto forte. Mi ha dato un’altra visione degli arbitri dicendomi “se c’è un problema fermiamo la partita”. Io ero sorpreso ma lo devo ringraziare, mi ha dato la forza di iniziare a lottare con tutte le mie forze questa discriminazione. Se sono diventato l’uomo che sono oggi è anche grazie a lui.
Quando ho visto il San Paolo pieno di tifosi con la maschera della mia faccia sono rimasto sorpreso. Non me l’aspettavo proprio, era bellissimo. Questa città e questi tifosi mi hanno sempre dato tutto, io voglio dare loro indietro qualcosa.
La sue radici:
I miei amici stretti, quelli con cui sono cresciuto, vengono sempre a vedermi. Mi sono sempre detto che tutte le persone mi devono conoscere come mi conoscono i miei amici. Per me la cosa più importante è rimanere umile. E quindi tutti devono vedermi come Kalidou Koulibaly, il piccolo che andava a scuola e giocava con i suoi amici, non come il calciatore famoso che sono diventato.
Sono nato in Francia da genitori senegalesi. Mio padre faceva il falegname, mia madre era cameriera. Ho avuto un’infanzia tranquilla con i miei due fratelli ed ero circondato da tante persone di origine straniera. Però parlavamo tutti francese, eravamo tutti fratelli, come una grandissima famiglia. I miei amici francesi venivano a casa per assaggiare il cibo senegalese che preparava mia mamma. In casa parlavo senegalese e quindi già da bambino parlavo due lingue, vorrei trasmettere questa cosa anche ai miei figli perché a me ha fatto crescere più velocemente.
Il ricordo più speciale della mia infanzia è legato a Francia-Senegal del Mondiale 2002. Guardai la partita a scuola con i miei compagni, cantavamo sia per la Francia che per il Senegal. Mi ricordo bene il gol di Papa Bouba Diop. Il nostro maestro, che era anche il mio allenatore di calcio, ci ha fatto una sorpresa: prima ci ha detto di aprire i libri, poi quando è iniziata la partita ci ha detto di girarci verso la tv e guardarla. Ricordo che dopo la partita abbiamo visto persone di tutte le origini – turchi, arabi e gli stessi francesi – ballare tutti insieme di gioia, non dimenticherò mai quel momento.
La Teranga è la terra d’accoglienza, vogliamo fare sentire un ospite come se fosse in famiglia, come se fosse in Senegal da anni. Ho portato due amici napoletani in Senegal ed erano molto sorpresi, mi hanno detto che i senegalesi trattavano meglio loro rispetto alle loro famiglie. Quello è lo spirito Teranga, farti sentire come se fossi a casa tua.
La nazionale:
La scelta di giocare per il Senegal (e non per la Francia, ndr) l’ho ponderata per un anno intero, ma alla fine è stata una scelta naturale. Quando sono in nazionale mi sento davvero in famiglia. Non mi sono mai pentito di non aver scelto la Francia, sono molto felice per la loro vittoria al Mondiale 2018, spero un giorno di poter alzare la coppa con il Senegal.
Napoli:
È la gente a rendere magica Napoli. E poi ci sono posti bellissimi, quando mi alzo ho la fortuna di vedere tutto il lungomare, il Vesuvio, Capri… E poi quando sei in campo capisci quanto sia grande l’affetto della città per questa squadra. Qui sognano, dormono e mangiano Napoli. Mi hanno sempre detto che a Napoli piangi due volte: quando arrivi e quando parti.
Sono consapevole che se giochiamo per il Napoli giochiamo per una città intera e Napoli è una grande città. E poi abbiamo milioni di tifosi nel mondo, quando scendiamo in campo dobbiamo essere al 300%.
Il gruppo
Siamo un bel gruppo, ci conosciamo tutti da anni e usciamo spesso a cena con le nostre famiglie. Siamo tutti amici. Quando sento parlare altri giocatori delle loro squadre capisco che con il Napoli non c’è davvero paragone. Nessuno vive come noi e penso che si veda pure sul campo.
Ghoulam, Jorginho e Insigne :
Ghoulam lo reputo mio fratello. Abbiamo fatto diverse iniziative di beneficenza insieme, ad esempio in ospedale o a Scampia dagli studenti. Ghoulam è una persona a cui tengo fortemente.
Jorginho è un grande, quando sono arrivato è stato il mio compagno di stanza ed è stato il primo a insegnarmi un po’ di italiano. Mi ricordo che eravamo in camera sdraiati sui nostri letti e lui mi correggeva sempre. Sul campo è stato straordinario, lo ha dimostrato anche col Chelsea e in nazionale. Mi divertivo tanto quando giocavo con lui, ci guardavamo e ci trovavamo subito.
Lorenzino (Insigne, ndr) è la storia del Napoli. È un giocatore fortissimo che ha fatto sempre bene, gli voglio molto bene perché è anche un grande uomo. ‘Tiraggir’ non lo dice mai, lo fa: è quello il bello. Anche quando siamo in nazionale ci chiamiamo sempre, siamo molto vicini.
In napoletano dico sempre ‘fratm’, questa è la parola che uso di più.
Spalletti:
Spalletti ci ha dato tanto soprattutto dal punto di vista della mentalità. Lui ha sempre stimato il Napoli e il suo gioco. La prima cosa che ci ha detto è che voleva cercare il problema di questa squadra, perché non è normale che non abbiamo ancora vinto. Questo ci ha fatto scattare qualcosa in testa, se uno come lui dice una cosa così vuol dire che abbiamo davvero delle qualità. La cosa più bella è che ha avuto l’umiltà di dire che il lavoro di Gattuso è stato buonissimo. Non è qui per cambiare ciò che ha fatto Gattuso, ma per dare qualcosa in più. Mi chiama ‘il Comandante’ perché dice che sono un leader: io faccio semplicemente ciò che ritengo giusto, se devo aiutare la squadra dopo 8 anni che sono qua devo farlo. Mi metto sempre a disposizione, se un compagno mi chiede aiuto lo faccio volentieri. I miei compagni dicono che tutti gli allenatori sono mio papà perché mi fanno giocare sempre, per questo chiamo così anche Spalletti.
Se fossi il regista di un film western a Spalletti farei fare il cowboy. Perché lui ha questo atteggiamento un po’ misterioso, che cerca sempre giustizia. Secondo me il cowboy è il ruolo giusto per lui.
Osimhen:
Se dovessi girare un film biografico su Victor Osimhen, racconterei il suo primo anno che è stato molto difficile. Nessuno si aspettava che sarebbe arrivato al livello di oggi, ma ha ancora tanto da dare e farà ancora vedere tante cose sia in questa stagione che in futuro. È un ragazzo tranquillissimo, umile e fa pure ridere. Fa tanti scherzi, soprattutto a Manolas, poi dopo i gol balla con Insigne: è una persona straordinaria, voglio aiutarlo nella sua crescita perché se lo merita. Si mette sempre a disposizione di tutti, gli dico chapeau. Spalletti lo ha molto caricato, appena arrivato gli ha subito detto cosa faceva bene e cosa no. Ma ad aiutarlo tanto è stato anche Gattuso, che l’anno scorso gli ha dato tanta fiducia. Poi Spalletti ha completato l’opera aiutandolo tantissimo, questa combinazione dà i suoi frutti oggi.
Rafa Benitez:
Al mio primo giorno a Napoli, quando sono venuto a firmare, ho pranzato con Benitez. Ha subito schierato 11 bicchieri e mi faceva vedere i movimenti del difensore e come mi sarei dovuto muovere in campo. Quell’anno con lui è stato veramente bellissimo per me, ho giocato tanto i primi sei mesi poi dopo la sosta ho giocato meno: mi ha fatto capire che dovevo studiare bene il calcio italiano perché era diverso da quello a cui ero abituato. Lo devo ringraziare perché mi ha fatto crescere tanto. Mi ricordo pure che, ai tempi del Genk, per due volte gli ho staccato il telefono. Mi ha chiamato dicendomi “sono il signor Benitez”, io pensavo che fosse lo scherzo di un mio amico. Quindi ho buttato giù, lui mi ha richiamato e ho di nuovo buttato giù. Poi mi ha chiamato il mio manager per dirmi che Rafa Benitez stava provando a chiamarmi. Mi sono scusato almeno 100 volte, ero molto sorpreso e felice.